L'abito da pacchiana è legato alla tradizione calabrese per cui i brani in cui la cosa è presente in primo piano sono scritti in vernacolo. Di seguito la poesia dello scrittore lametino Francesco Davoli che ripercorre l'abito nelle sue varie parti:
Ppi si véstari ‘a pacchjàna,
prima cosa si ‘nsuttàna;
carma, carma, senza affànnu
pùa si ‘mbùalica ‘ntr’ o pannu;
illu è nìuru o culuràtu,
assicùndu di lu statu:
è russu priputènti
s’ u marìtu l’ha vivènti,
è culùri ‘i vinu ammaccàtu
s’ u marìtu ‘unn ha truvàtu
ed è nìuru villùtu
s’ u marìtu cci ha murùtu.
Pùa si minti lla gunnèlla,
nìura, vìardi, brù ‘i franèlla,
si cci fha ‘n arrucciulàta,
‘a gunnèlla è già ‘mpadàta.
‘N àutru tùaccu pùa di fhinu
si lu dà ccu llu mbustìnu,
ma cchjù bella vo’ parìri
e ssi minti llu spallìari.
‘U mantisìnu ricamàtu
mìanzu pannu cci ha ‘mbarràtu;
prima ‘i jìri a llu purtùni
pìgghja llu fhazzulittùni;
quando nesci ppi lla strata
è cchjù bella di ‘na fhata!
‘A salùtanu d’ ‘i casi
‘a pacchjàna ‘i Sambiàsi.
Ritroviamo inoltre in alcune opere che descrivono la Calabria diversi riferimenti alla pacchiana come ad esempio:
Estratto del libro di Arthur John Strutt "Un viaggio a piedi in Calabria" pubblicato nel 1842:
Non avevo visto una fanciulla così graziosa da quando lasciai Roma, e la ricchezza è peculiarità del suo costume esaltava in sommo grado la sua bellezza. Portava un copricapo bianco ricamato raccolto sulla fronte con una piega quadrata la cui continuazione scendeva sulle spalle; un busto d’un verde scuro, aperto davanti, era allacciato con un cordone giallo sopra una specie di panciotto rosso, orlato di blu; maniche verdi corte che arrivavano solo fino al gomito, separate dal busto, erano attaccate alle spalline con nastri gialli, mentre soltanto la camicia copriva il collo, spalle e braccia dal gomito al polso. La gonna di un blu chiaro era rimboccata dietro; un corto grembiule scuro ornato di giallo copriva una sottoveste di panno scarlatto la quale, aperta davanti, alla maniera greca, era abbastanza corta per mostrare un quarto di yard di un’altra sottoveste bianca, o camicia, o che so io che, pendendo, scendeva fino a mezza gamba; lunghe ghette di un blu scuro arrivavano alle caviglie, lasciando i piedi nudi. Aggiungete a tutto ciò grandi orecchini e molte collane, coralli, medaglie e immagini intorno al collo e avrete una esatta descrizione del suo vestito.
Estratto del libro di Jules Destrée "In calabria durante il fascismo. Due viaggi inchiesta" pubblicato nel 1928:
Calze nere, un lembo di gonna bianca sotto un’altra gonna di lanina d’un rosso vivo, talvolta ornato verso il basso da ricami e sopra ancora un’altra di cotone blu nero, rialzata e piegata di dietro, corpetto nero con mezze maniche bianche e, qualche volta un fazzoletto di pizzo di un bianco candido, capelli neri divisi da una riga centrale oppure coperti con un velo bianco; rosso, nero e bianco creano un’eleganza deliziosa che è come una musica nel sole: teatro all’aperto. Per di più una lunga sciarpa, a strisce orizzontali multicolori, gettata sulle spalle, completa i graziosi atteggiamenti.